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Che cosa vuol dire Askasuna, la storia a due facce del centro sociale di Torino

Che cosa vuol dire Askasuna, la storia a due facce del centro sociale di Torino

L’edificio occupato dal centro sociale Askatasuna in via Regina 47 a Torino, risale al 1880. In origine ospitava l’asilo Reynero, antesignano degli attuali nidi, poi fuso con Regio Decreto del 23 marzo 1924, n. 522, con l’Associazione delle dame di carità di Santa Giulia in Vanchiglia, dando vita all’ Opera Pia Reynero, ente che nel tempo avrebbe riunito in sé diversi istituti benefici. In seguito divenne proprietà del Comune, avendo il palazzo un cortile adiacente con il nido comunale e fu abbandonato nel 1981.

L’OCCUPAZIONE

Quindici anni dopo il 15 ottobre 1996 lo stabile venne occupato da una sessantina di autonomi. Lo stabile di corso Regina Margherita divenne la sede del Centro Sociale Askatasuna. Il nome mutuato dalla lingua basca (Euskara) significa “Libertà” ed è mutuato dai movimenti indipendentisti baschi, in Italia è sinonimo del centro sociale di Torino come Leoncavallo lo è stato di quello di Milano. Askatasuna divenne un centro autogestito ma non isolato dal quartiere con cui mantenne uno stretto contatto, in dialogo con i collettivi studenteschi di Palazzo nuovo sede delle facoltà umanistiche. I temi prevalenti il diritto allo studio, al lavoro, alla casa e iniziative rivolte all’infanzia che ancora nei giorni scorsi erano attive.

LE DUE ANIME DI ASKATASUNA

Askatasuna ha da sempre due anime una sociale e una arrabbiata, la prima lavora con il quartiere collabora a iniziative solidali, l’altra mostra il lato rabbioso, che diventa evidente in tempi più recenti, nei momenti caldi delle proteste no Tav talvolta violente: 26 attivisti finiscono sotto processo a Torino, il primo grado si è concluso in con la caduta dell’accusa più grave, l’associazione a delinquere, ma con diverse condanne tutte attorno ai cinque anni di reclusione per singoli episodi.

IL PATTO CON IL COMUNE 2024

Il 30 gennaio 2024 una delibera del Comune di Torino mette le premesse per un un patto di co-gettazione, per far sopravvivere il centro e insieme riconciliarlo con la città, isolando i violenti: il patto, che trova il favore di chi crede che sia il dialogo la chiave per gestire le tensioni sociali, tra questi il Gruppo Abele di don Ciotti, è finalizzato alla messa in sicurezza dell’edificio prevede il rispetto dei valori costituzionali e la messa al bando di qualsiasi forma di violenza, oltreché la possibilità di portare avanti attività sociali al piano terra, con una serie di clausole, tra cui il divieto di usare gli altri tre piani, inagibili.

LA GOCCIA CHE HA TRACIMATO

Il patto rinnovato lo scorso marzo è cessato il 18 dicembre, quando le forze dell’ordine nel corso di perquisizioni collegate all’inchiesta sugli assalti alle Officine grandi riparazioni, alla sede della Leonardo di corso Francia e alla redazione de La Stampa di via Lugaro, avvenuti durante manifestazioni pro Palestina nei mesi scorsi, trovano sei attivisti nei luoghi del centro inagibili, nei quali si erano impegnati a non andare. Il patto con le istituzioni è violato e comincia lo sgombero. È il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, che pure lo aveva favorito, a comunicare che il patto di co-gestione è finito.

20 DICEMBRE 2025

Il 20 dicembre la manifestazione per Askatasuna cominciata con le famiglie è finita in guerriglia urbana, le immagini riflettono la contraddizione delle anime di Askatasuna, l’impressione che nella testa di alcuni, non di tutti, quel nome libertario (parte anche della sigla del nucleo iniziale dell’Eta) alluda a una libertà senza limiti che va oltre il perimetro costituzionale. Il 21 dicembre il quartiere Vanchiglia di Torino si è svegliato “blindato”: «Camionette che chiudono le vie», racconta chi abita proprio a un isolato da Askatasuna, tra la punta della Mole, il Po e Palazzo Reale, e ha l’età per aver visto tutta la storia, «anche esagerato: è vero che Askatasuna non è più considerabile tra i centri sociali moderati, ma la militarizzazione sotto Natale non fa bene al quartiere».

LE ANALISI DEL GIORNO DOPO

«La Città di Torino», è l’amara riflessione di Giancarlo Caselli e Vittorio Barosio sulla Stampa del 20 dicembre, «ha cercato in questi due anni di “passare sopra” a queste numerose e gravi violazioni, pur di non far saltare il Patto. Ma l’assalto del 28 novembre alla redazione de La Stampa è stato così violento, aberrante e pericoloso da non consentire più margini di tolleranza. Ed è questo episodio che, unito a tutti i fatti precedenti, ha reso ormai inevitabile lo sgombero. Con esso si è superata quella linea rossa oltre la quale l’organo dello Stato delegato alla sicurezza pubblica non poteva non intervenire. Di chi è la colpa? Certamente degli aderenti ad Askatasuna che in questi anni, approfittando di ogni occasione, hanno continuato a commettere atti di violenza. Ma la colpa è anche dei garanti, che evidentemente non hanno assolto al loro compito di sorveglianza: né sul fatto che i piani superiori dell’edificio restassero vuoti, né sull’attività che aveva luogo nell’edificio stesso e che aveva ad oggetto la pianificazione di iniziative illecite».

Caio Rocha

Sou Caio Rocha, redator especializado em Tecnologia da Informação, com formação em Ciência da Computação. Escrevo sobre inovação, segurança digital, software e tendências do setor. Minha missão é traduzir o universo tech em uma linguagem acessível, ajudando pessoas e empresas a entenderem e aproveitarem o poder da tecnologia no dia a dia.

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